Lui & Lei
Eva
di liberodigodere
08.12.2023 |
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"Al loro risveglio i fratelli si trovano nudi, supini, uno al fianco dell’altro, immobilizzati con i polsi legati dietro la schiena, le gambe divaricate..."
Eva.Il mio nome in sole tre lettere racchiude in sè le radici stesse del peccato.
Sono nata in un villaggio sperduto dell’Andalusia che non esiste su alcuna mappa.
Terra aspra ed arsa dal sole come la gente che la popola.
Nella mia famiglia c’erano troppe bocche da sfamare ed ho imparato in fretta cosa significa lottare per sopravvivere.
All’età di dodici anni, i tratti acerbi e spigolosi del mio corpo di bambina si sono trasformati nel disegno voluttuoso e carnale di una giovane donna mediterranea.
Pelle ambrata dall’odore del grano, labbra cremisi come tessuti d’Oriente, occhi neri come la notte senza Luna. Nessun’altra come me. Questa la mia condanna.
Il primo ad accorgersene fu mio padre, l’uomo che mi avrebbe dovuta proteggere, e che invece fu il primo carnefice.
Da quel momento sono stata per tutti carne privata della propria anima, un oggetto al servizio del piacere.
Il collegio religioso che mi ha accolta durante l’adolescenza è stata la mia prigione dove gli alti prelati venivano ad educare il mio spirito ed inondarmi della loro grazia in angoli bui dove neppure lo sguardo del loro Dio poteva arrivare.
Quando, ormai donna, mi sono affacciata al mondo, conoscevo solo violenza e sopraffazione.
Ma il destino stava per offrirmi una possibilità.
Ethan, un giovane rampollo viziato figlio di aristocratici inglesi, ricco oltre ogni immaginazione, perse la testa per me.
Era superbo, altezzoso, inetto.
Lo rifiutai ad ogni suo tentativo, schernendolo di fronte a tutti solo per il gusto di ferirlo sino ad annientarlo.
Un giorno, un emissario della sua famiglia venne da me per informarmi di come il giovane fosse caduto in un tale stato di prostrazione che lo stava conducendo verso la follia.
La madre, una nobildonna austera che per una come me avrebbe provato solo autentico disgusto, mi implorava di avere pietà di lui ed offrirgli almeno una possibilità.
La madre, violentando la propria alterigia, implorava me, mentre il mio corpo conservava ancora l’odore putrido delle belve che fino a poco prima l’avevano profanato.
Accettai per mero calcolo. Ogni mia parola era un medicamento per la mente malata di Ethan, ogni mia carezza un elisir per le sue membra.
Ethan con me accanto riprese vigore ed in aperto contrasto con la propria famiglia mi volle fare subito sua sposa. Lui sentiva di possedere finalmente l’oggetto dei suoi desideri. Avrebbe compreso troppo tardi quale imperdonabile errore aveva appena commesso.
Da quel momento diventai il centro del suo mondo, la sua ossessione, il suo scrigno segreto.
A me bastava anticipare ogni suo desiderio, ogni suo appetito e soddisfare la sua lussuria ogni oltre possibile aspettativa. Compito fin troppo semplice per una femmina come me.
In cambio mi aggiravo tra le mura di una prigione ben più confortevole di quelle che avevo conosciuto in passato ed il lusso che mi circondava rendeva tollerabile la presenza del mio carceriere.
Fino a quella maledetta notte in cui tutto cambiò.
Ethan e i suoi due fratelli erano rientrati ubriachi da una delle loro uscite. Appena entrati in giardino uno dei domestici era accorso per accoglierli.
Il suo nome era Leon.
Era un ragazzo senza un passato, emerso da un altro angolo sperduto e senza memoria su questa terra proprio come me. Aveva lo sguardo ed i movimenti di un animale ferito e braccato.
Mai prima di lui gli occhi di un uomo erano stati in grado di trafiggermi. I suoi mi avevano inchiodata.
Avevamo sempre solo scambiato poche frasi, furtivamente, ed i nostri corpi si erano solo avvicinati quel tanto che basta per avvertirne il calore e percepirne l’odore.
I tre cominciarono a deridere e denigrare il servitore che si era presentato scalzo e senza abito di servizio.
Scelsero poi di liberare la coppia di dobermann addestrati per la difesa della dimora per intimorirlo e giocare perversamente con lui. Sempre più accecati dai fumi dell’alcool aizzarono i cani contro Leon che atterrito in ginocchio supplicava pietà. Per tutta risposta non trovarono di meglio da fare che urinargli addosso.
Richiamata da urla e latrati, lo spettacolo che mi si parò d’innanzi fu agghiacciante e solo il mio intervento mise fine a quel delirio. I tre si erano ritirati in casa barcollando, le belve erano state ricondotte alle proprie gabbie.
Leon era invece rimasto a terra, impietrito a testa china, e nonostante le mie preghiere lì volle essere lasciato.
La mattina successiva di lui non c’era più traccia.
Da quel momento la mia esistenza ha avuto un solo scopo.
Tessere una vendetta.
Conosco gli uomini.
Conosco le loro aspirazioni, i loro segreti inconfessabili, le loro fragilità. So come condurli al punto di rottura. Sono occorsi mesi per allestire il mosaico della mia rivalsa, perché ogni tassello di questa tragedia trovasse il suo posto e gli attori, consapevoli ed inconsapevoli, fossero pronti per andare in scena.
Mi sono servita di una donna, una collaboratrice fidata per consegnare un invito che non poteva e non doveva essere rifiutato. Una busta sigillata da cera scarlatta contenente un messaggio immorale indirizzato ai due fratelli di mio marito.
La lettera racchiudeva un mio desiderio inconfessabile. Essere presa senza pudori dai due uomini destinatari della missiva, ben consapevole di come questi mi avevano divorata con gli occhi da quando mi ero affacciata all’uscio della loro casa patronale.
La mia collaboratrice aveva un ordine perentorio. Assicurarsi di vincere timori, dubbi, ritrosie che i due gentiluomini avrebbero potuto accampare e garantire che avrebbero accettato l’invito.
Per far ciò il suo compito era quello di strappare il loro assenso mentre ingoiava i loro cazzi e tornare da me con l’unica risposta che avrei accettato sporca in viso del loro sperma come prova.
A questo punto mancava solo attirare la mia vittima.
La sera prescelta convinco Ethan a passare la notte nella nostra villa sul mare.
Lo seduco, lo inebrio. È un fantoccio nelle mie mani.
Appena entrati nella enorme sala con vista sulla scogliera, lascio le luci soffuse, mi muovo come un felino sulla sua preda, lo lambisco, lo denudo, graffio la sua pelle, mordo la sua carne. Lo faccio bere smodatamente fino ad offuscare i suoi sensi e la sua mente.
È l’inizio di un gioco al massacro.
Lo convinco a sedersi su un’antica poltrona il pelle, lego polsi e caviglie e mi muovo su di lui come una ninfa sfuggente. L’ultimo tocco è una gag ball che gli impedirà di proferire parola durante la rappresentazione che verrà da lì a poco e di cui sarà spettatore privilegiato. Non si oppone a nulla. Sa quanto posso essere lasciva e depravata. Ho costruito un personaggio perfetto in ogni dettaglio.
Mi denudo davanti a lui, come tante altre volte ho fatto.
Stavolta però le cose stanno per andare in modo drammaticamente diverso.
Mi allontano per raggiungere il portone d’ingresso che apro e lascio socchiuso.
Torno nella sala, nel punto più lontano da mio marito. Spengo le luci. Solo il bagliore della Luna che penetra da una grande vetrata illumina il mio corpo. Tutto il resto della stanza è avvolto nell’oscurità. Sento i suoi versi sempre più flebili, percepisco la sua ansia, comincio a sentire la sua paura.
Mi accovaccio a terra prona come una cagna, ed aspetto.
Aspetto.
Aspetto.
Un rumore di passi all’improvviso squarcia il silenzio irreale della scena.
I due fratelli sono giunti.
Non mi volto. Non li guardo negli occhi, non ne sento la necessità. Il mio sguardo è rivolto a terra. Percepisco dal loro respiro lo stupore e lo sbigottimento di trovare una splendida femmina nuda, discinta, piegata con i gomiti a terra ed i suoi orifizi completamente esposti pronti per essere violati. Attimi di silenzio interminabili si susseguono. Un singolo uomo, per quanto sicuro di sé, può rimanere intimorito, inibito in una situazione così estrema, ma lo stesso, affiancato da un suo simile, si sente parte di un branco ed in tale contesto trova la ragione per sfogare senza remore il suo lato più bestiale e represso.
Li sento sfilare giacche, camicie, il fruscio dei loro pantaloni che cadono a terra. Li sento avvicinarsi, palpare sgraziatamente il mio culo per poi infilare prima una, poi due, poi te dita nella mia fica.
All'improvviso l’aria viene attraversata da un sibilo e dei fendenti violentissimi colpiscono gli uomini alle mie spalle, seguiti da altri ed altri ancora. Le loro urla invadono la stanza subito soffocate da fazzoletti intrisi di cloroformio.
Al loro risveglio i fratelli si trovano nudi, supini, uno al fianco dell’altro, immobilizzati con i polsi legati dietro la schiena, le gambe divaricate bloccate con una sbarra d’acciaio fissata con cinghie alle caviglie. Di fronte a loro ci sono due giovani e possenti uomini neri, i nuovi attori da me ingaggiati, comparsi all'improvviso sulla scena a modificare drasticamente un copione da un epilogo che sembrava scontato.
Osservo la scena dall’alto. Premo un tasto ed il monitor di un PC di illumina mostrando il video di un’orgia in cui i due ricchi aristocratici soddisfano le proprie voglie, tra piste di cocaina e champagne, con un gruppo di giovani escort. Ne seguono altri. Compaiono infine copie di documenti delle partecipanti ai festini da cui si evince come almeno la metà fosse minorenne. Spengo il monitor. Gli sguardi dei due fratelli sono vitrei, imploranti. La loro baldanza scomparsa. Le loro erezioni un lontano ricordo. Ad un mio cenno i due neri li piegano in due facendo leva sulle sbarre d’acciaio, sputano ripetutamente sui loro culi esposti e dopo aver appoggiato dei falli lignei mostruosi all'ingresso, fanno per entrare con brutalità.
Li fermo con una smorfia del mio viso. La recita per loro è terminata. I fratelli sono terrorizzati, i loro corpi sconquassati da brividi di puro panico. Ordino ai due neri di trascinarli accanto ad Ethan in modo che possano assistere all’atto finale che sta per andare in scena.
Riassumo la posizione prona d’inizio. Passano minuti, forse ore. Il tempo ha ormai una valenza arbitraria. Ciascuno di noi ne ha una percezione distinta. La porta della sala finalmente si apre ed un uomo compare.
Leon.
Lo riconosco dall'odore.
Ho impiegato un anno per trovarlo nell'oscurità dove si era nascosto. Ora non ho la forza di voltarmi per guardarlo.
Gli ho chiesto di credere che una redenzione fosse possibile. Gli ho chiesto di gettarsi nel vuoto e lui mi ha seguita.
È ad un soffio da me. Sento il fragore trattenuto nel suo petto farsi strada. Lo sento piangere, singhiozzare. Violento me stessa ma non mi muovo fino a quando le sue lacrime calde cadono sulla mia schiena. Le sue mani finalmente mi sfiorano. Raggiunge con le labbra il mio corpo e ne assapora ogni lembo. Si nutre di me.
Lo denudo con una lentezza esasperante come in una sequenza di gesti di una liturgia. Per la prima volta sono di fronte ad un uomo per scelta e non calcolo. Cerco la sua bocca, aspiro il suo alito, bevo la sua saliva. Mi avvinghio al suo petto che sa di terra bruciata. Leon non chiede. Leon non impone.
Mi adagia a terra e comincia a baciare i miei piedi. Li adora come delle sacre icone. Risale dalle caviglie lungo i polpacci, l’interno delle cosce senza tralasciare un angolo della mia pelle. Quando arriva al mio sesso dischiuso trova una sorgente a cui dissetarsi. Lo attiro a me con foga. Voglio soffocarlo del mio sapore. Mi siedo sul suo volto perché assapori ogni mio fluido e mi avvento sul suo ventre. Ogni mio gesto è sconsiderato, ogni mio gesto è indecente, ogni mio gesto finalmente è vero. Mi inebrio dell’odore e del sapore del suo cazzo turgido, lo sbatto sul mio viso. Gusto l’aroma di quel membro fino alla radice mentre avverto la lingua del mio uomo insinuarsi nel culo che presto gli offrirò senza remora alcuna. La saliva cola copiosa a rivoli dagli angoli della mia bocca ed un osceno gorgoglio accompagna ogni mio affondo.
Non riesco a resistere oltre. Mi piego a terra e supplico Leon che mi prenda. Un palo di carne mi trafigge. Eva nasce solo ora. La ragazzina spaventata, l’adolescente scaltra e smaliziata, la donna fredda ed opportunista si sono fuse e sciolte dentro la sensazione di un cazzo pulsante che si muove in me. Godo. Finalmente godo e schizzo il mio piacere ovunque. Perdo il conto degli orgasmi. Le mie grida non sono più soffocate, la mia voce non è più strozzata dal dolore e dall'odio. La mia bocca si schiude per implorare che continui a riempirmi senza fermarsi.
Quando finalmente sento il mio sfintere violato alzo gli occhi ed incrocio negli specchi la maschera di piacere e di passione nello sguardo dell’uomo che mi sta inculando. Voglio che mi venga dentro. Spingo verso di lui, mi apro senza ritegno, ed alla fine i suoi fiotti di sperma inondano le mie viscere accolti come il più agognato dei premi. Bacio Leon. Raccolgo il suo seme e lo spalmo come un unguento sul mio corpo. Attorno a noi non esiste più nulla.
Solo quando sento un rumore provenire da un lontano recesso della sala recupero lucidità. Trovo la forza di sollevarmi, e barcollare inferma sulle gambe sino all'angolo dove sapevo nascosto Ethan nell'oscurità ed accanto a lui i suoi fratelli. Accendo quindi una abat-jour al suo fianco. La luce improvvisa gli provoca d’impulso una violenta reazione di fastidio, ma appena i suoi occhi si abituano alla nuova condizione leggo in questi una ben peggiore ed insostenibile sensazione di repulsione e disgusto. Le immagini dello scempio subito dal mio corpo, arrossato, livido, ricoperto da uno strato di sperma in parte rappreso, in parte ancora caldo uscente dal mio ano dilatato, il mio volto stravolto dal piacere e dall'oltraggio perpetrato, oltrepassano la sua capacità di sopportazione. La sua reliquia é stata deturpata e dissacrata irrimediabilmente.
Sciolte le cinghie che lo tenevano ancorato Ethan si lascia scivolare sul pavimento inerme, lo sguardo perso nel vuoto. Solo allora, rimossa la gag ball mi siedo sul suo viso e contraendo i muscoli riverso tra le sue labbra dischiuse tutto il seme di Leon ancora nel mio intestino, lo sperma dell’uomo che mi ha posseduta, fatta sua davanti ai suoi occhi affinché l’umiliazione sia completa.
Ordino ai due neri rimasti in disparte di slegare i fratelli, rivestirli e condurli alle rispettive abitazioni. Mi copro velocemente col mio abito da sera ancora intrisa del sapore di sesso ed esco assieme a Leon lasciando un messaggio sul tavolo per mio marito.
“Ho raccolto documenti che provano oltre ogni ragionevole dubbio frodi, atti di corruzione da te commessi negli anni sufficienti per farti condannare da qualunque giuria a passare il resto della tua spregevole esistenza in prigione. Verrai contattato domani stesso da una persona da me incaricata per trattare le condizioni del nostro divorzio e della tua resa. Non sono ammesse negoziazioni. Non tornare a casa.”
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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